martedì 3 settembre 2013

Venezia70: The Zero Theorem

Devo confessare che non sono solita ai film di Terry Gilliam. Certo lo conosco, conosco i suoi film, so cosa pensa la critica di lui, ma The Zero Theorem credo sia stato effettivamente il primo film suo che ho visto e mi ha messo la voglia di vederne altri, se non altro per meglio comprendere il lavoro di questo genio che fin troppe volte stenta a farsi comprendere.

La storia prende forma in un futuro lontano ma non troppo dove la tecnologia è presente in ogni aspetto della vita umana e le auto elettriche impazzano per le strade. 
È in questo mondo che si muove Qohen (Christoph Waltz) un disadattato, misantropo e un tantino schizofrenico che lavora per una grande corporazione che sembra possedere tutto e controllare tutto.
Qohen, però, brama ardentemente la pace della sua chiesa-casa, detta in maniera eufemistica. Detto in modo più diretto, il protagonista cerca disperatamente di farsi riconoscere disabile perché semplicemente non può lasciare la propria casa, in attesa di una telefonata che potrebbe (ma Qohen ne è sicuro) spiegargli la ragione della sua esistenza, il perché del suo essere al mondo.

A quanto pare l'unico modo per lavorare da casa è per lui entrare a par parte del progetto Zero Theorem, dopo un colloquio con il fantomatico Managment (Matt Damon), capo della corporazione e dotato di incredibili qualità mimetiche.

Qohen affronta il mondo esterno
Dapprima tutto sembra andare per il meglio ma ben presto il nostro protagonista si accorge che l'equazione che gli è stata sottoposta è pressoché impossibile da risolvere, sembra quasi che l'espressione stessa non voglia essere risolta.

Dopo un primo crollo mentale davanti a questo insuccesso, Qohen viene aiutato nel "recupero" da Bainsley, ragazza che si rivelerà essere una squillo cybernetica, e Bob, un giovanissimo genio del computer, che altri non è che il figlio di Managment stesso.

Anche se mandati per controllarlo, questi due personaggi saranno la salvezza di Qohen: lo aiuteranno a riconnettersi con un mondo che aveva chiuso fuori con una serie infinita di lucchetti e chiavistelli, cominciando a godersi di nuovo le piccole gioie della vita come una relazione romantica, l'aiuto di un amico, la pizza.

Ma in un mondo dove la tecnologia la fa da padrone e gestisce e controlla ogni singolo aspetto della vita umana, non si può mai abbassare la guardia e la ritrovata vitalità di Qohen è un pericolo per la risoluzione del problema affidatogli.

Un mondo psichedelico e caotico circonda personaggio a tutto tondo e ben delineati, portati in vita da un cast di tutto rispetto: possiamo riconoscere David Thewlis, meglio noto come il Lupin potteriano, ma soprattutto vicino ai nomi di giganti come Christoph Waltz e Matt Damon spicca il giovane Lucas Hedges, che da il volto al carismatico Bob e già visto in quel piccolo gioiellino che è Moonrise Kingdom.

Bainsley è pronta ad intrattenere il nostro protagonista
Sulla trama... Beh, dare un giudizio o anche solo cercare di inquadrarla nei canoni comuni è un esperimento che non tento nemmeno: Terry Gilliam porta sullo schermo una denuncia contro la tecnologia e la depersonalizzazione dell'uomo ad opera di essa in un film psichedelico di difficile comprensione. Credo che per quanto mi riguarda sarà necessaria una seconda visione, questa volta in italiano: guardare un film che parla del significato dell'esistenza e dell'universo stesso in inglese e. Per di più nel linguaggio a volte un po' sconclusionato di Gilliam e pretendere di capirlo al primo colpo forse è chiedere troppo.

Vi lascio con il Red Carpet del film e invito tutti voi, dopo averlo visto, a scriverai le vostre impressioni: magari aiutate anche me a farmi un quadro più completo.


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