venerdì 28 giugno 2013

EIFF2013: C. O. G.

Altro giro altra corsa. Il festival è agli sgoccioli e gli ultimi film vengono proiettati.

Questa mattina (alle 9 in punto al cinema... ah, ragazzi, cosa non faccio per voi...) ho iniziato con C.O.G. film che racconta di David, che preferisce farsi chiamare Samuel, studente universitario a Yale che decide di prendersi una pausa dagli studi e andare a raccogliere mele in una fattoria in Oregon. Abbandonato dall'amica con cui doveva fare questa epifanica esperienza, alla scoperta di un mondo totalmente diverso da quello agiato che aveva conosciuto fino a quel momento, David decide di proseguire da solo, cominciando a tutti gli effetti un viaggio di formazione che lo porterà molto distante, nella conoscenza di sè stesso e degli altri.
Il fil rouge che da subito si impone e che sembra collegare tutte le sue esperienze, è la religione ( il C.O.G. del titolo è una congrega di cristiani che David incontra lungo il cammino e che si imporrà pesantemente nella sua vita): da fervente ateo il protagonista si troverà a fare i conti con diverse manifestazioni di culto e di fede, fino a sperimentarla lui stesso.

David abbandonato dal pullman nel mezzo del nulla
Ho cercato di inquadrare questo film, ripensandoci durante la giornata.
Il termine "viaggio di formazione" ha cominciato a farsi strada nella mia testa e ora non so come altro descriverlo, ma in fondo non so se sia necessario trovare altre definizioni.
David lascia la tranquillità (che poi tanto tranquilla non è) del suo quotidiano per saggiarsi in un ambiente non solo totalmente differente da ciò cui lui è abituato ma anche, in più di un'occasione, ostile nei suoi confronti.
Di fronte alla gente che si spacca la schiena su lavori malpagati per tirare avanti la sua intelligenza e la sua erudizione non servono a nulla, i suoi spunti di dialogo sono totalmente fallaci e per cercare di connettersi con le persone che gli stanno intorno dovrà fare un passo indietro e cambiare il suo modo di approcciarsi agli altri e alla vita.

Come se non bastasse, David è gay, cosa che, si suppone, lo abbia allontanato da una famiglia che non lo supporta e non lo capisce.
Questo particolare aspetto del personaggio rende dapprima il suo rifiuto per la religione e poi il suo timido avvicinamento ad essa particolarmente carichi di significato e profondità.
Jonathan Groff e Denis O'Hare

Dalle persone che incontra sulla sua strada David impara molto ma allo stesso tempo finisce sempre per esserne allontanato, non costruendo di fatto nessun rapporto duraturo e veritiero con nessuno di loro.

Il film si conclude con un finale abbastanza aperto (a differenza di Magic Magic non si ha una sensazione di inconclusione ma allo stesso tempo permane il desiderio di sapere di più), triste, malinconico ma che fa ben sperare per il futuro del protagonista.

Il protagonista Jonathan Groff, già visto in Glee e che solo di recente ha fatto coming out nella vita reale, dà una buonissima prova di sè in un film dalla tematica scottante come quella della religione e della fede. Tutto il cast si approccia bene alla storia specialmente Denis O'Hare nei panni dell'ambivalente Jon, fervente cristiano con repentini attacchi d'ira.
Nel cast c'è anche Casey Wilson, ex comica al Saturday Night Live e ora protagonista di Happy Endings. Per me, che amo entrambi gli show, una bella e piacevole sorpresa.

Probabilmente non è uno dei miei film preferiti durante questo festival ma la regia, la trama, le musiche collimano a creare un film che vale comunque la pena di vedere, se non altro perchè si fa portavoce di idee che non spesso si sentono sul grande schermo (particolarmente forte la definizione di fede che David dà nei primissimi minuti del film).

Purtroppo il trailer non è ancora disponibile ma non appena apparirà online aggiornerò questo post!
Vi lascio con una bella immagine del cast al completo.


giovedì 27 giugno 2013

EIFF2013: uwantme2killhim?

Un'altra giornata di festival si è conclusa, un altro film super entusiasmante che mi ha reso felice e orgogliosa delle mie scelte cinematografiche.

2003, periferia di Londra. Mark è un ragazzo bello e popolare. Gioca a calcio, ha tanti amici.
Ed ha una febbrile vita online.
Chatta costantemente con Rachel, una ragazza in un programma di protezione testimoni, mai vista di persona ma con cui instaura una profonda relazione romantica. Rachel vive una vita segregata, legata ad un fidanzato violento e pericoloso, e non può essere presente nella vita del fratello, John, un ragazzo un pò strano, oggetto delle attenzioni dei bulli della scuola. Mark e John diventano così amici, cominciando a passare sempre più tempo insieme, sostenendosi a vicenda.
Ma un giorno Rachel sparisce dalla vita online e Mark viene a scoprire che la ragazza è morta suicida ma che dietro potrebbe esserci la mano violenta del fidanzato.
Mark non riesce a farsene una ragione e con John comincia a cercare un modo di vendicarsi e di punire l'assassino della donna che amava.

John e Mark
Da questo punto in poi i fatti si avvicendano in un crescendo che coinvolge e avvolge lo spettatore fino ad avvilupparlo totalmente nella trama, così come ne è imprigionato il protagonista, senza che neanche lui se ne renda conto.
Il mondo online si fonde con quello reale, teorie cospirazionistiche che coinvolgono terroristi pronti a tutto (l'11 settembre è ancora vivo nella memoria), malati terminali di cancro e misteriose agenzie investigative compaiono nella quotidianità di Mark diventando da cibernetici a reali fin troppo velocemente.
E lui è disposto a tutto pur di fare la sua parte in questo complicato gioco di spionaggio e vendetta.

Ma...  sarà vero quello che si dice in una chatroom online?
Non tutto è ciò che sembra...

Tratto da uno storia vera, il film riesce a catturare lo spettatore trascinandolo nella frenetica vita online che caratterizza un'intera generazione, mettendone in luce i rischiosi lati negativi. Ti coinvolge a tal punto che lo schiaffo finale, il punto di svolta in cui tutto acquista un nuovo senso, arriva direttamente sulla faccia di chi guarda, scioccandolo.
Come ha detto lo stesso regista al Q&A che ha seguito la proiezione, questa è una vicenda reale, quotidiana, che può facilmente accadere a chiunque. E' una quotidianità in cui irrompe un fatto straordinario.

E' una storia di ossessione e disperata necessità.
Toby Regbo e Jamie Blackley in una scena del film
Il tutto raccontato con gli occhi di Mark, dal suo personale punto di vista.
Non è un film che vuole giudicare, che vuole fare la morale, ma racconta dei fatti attraverso lo sguardo di un diciassettenne che ancora deve trovare il suo posto nel mondo, che vive e sente tutto quello che gli accade intorno con un'intensità che solo a quell'età è capibile, che solo a quell'età è perdonabile.

Il mondo adulto è tenuto in disparte, focalizzando l'attenzione soltanto sui teenagers: i genitori reali, quelli che hanno vissuto effettivamente questa vicenda, ovviamente non erano contemplati nei rapporti di polizia o sugli articoli di giornale, quindi gli autori hanno dovuto immaginare le loro reazioni a fatti così sconvolgenti. E questo senza togliere l'attenzione a quello che è il vero protagonista, il mondo adolescenziale nei primi anni duemila.

Jamie Blackley, di cui ho già recensito We Are The Freaks, da un'altra grandissima prova di sè, diventando, di fatto, uno di quei giovani attori promettenti da tenere d'occhio. Toby Regbo nella difficile parte di John riesce a dare al personaggio la profondità e la complessità che merita.

Insomma un film da vedere assolutamente, ben costruito e che porta sullo schermo una tematica fin troppo sentita ai giorni nostri.

Vi lascio con il trailer.





mercoledì 26 giugno 2013

Monsters University part 2 - il video ritrovato

Ebbene si: sono riuscita per la prima volta nella mia vita (non che ci avessi tentato strenuamente in questi anni...) a caricare un video su Youtube.
Gaudio e giuoia.
Mi aspetto applausi e commenti di congratulazione.

A parte tutto (e per tutto intendo le cretinate scritte pocanzi del tutto prive di senso) ecco il video dell'intervento di Scott Clark all'anteprima Britannica di Monsters University.
Enjoy!


EIFF2013: Struck By Lightning

Si ritorna alla vita da festival con un film che riporta il mio entusiasmo a mille dopo l'esperienza... beh, diciamo inquietante dell'ultimo film che avevo visto.

Carson è l'ambizione fatta a persona: da quando aveva 8 anni pianifica la sua vita per diventare uno scrittore, andare alla North Western, scrivere per il New Yorker e per alcune delle più famose testate giornalistiche americane.
Ma Carson è nato e cresciuto in una piccola provincia dove i sogni sono difficili da realizzare, non importa quanto duro si lavori. Il nostro protagonista è infatti particolarmente attivo nell'ambiente scolastico, dirige il giornale della scuola ed è presidente del club di scrittura ma a quanto pare questo non è abbastanza per essere ammessi nell'università dei suoi sogni.

E' la totalmente disfunzionale tutor per le carriere che dà a Carson l'idea di fondare qualcosa di nuovo e non convenzionale: una rivista letteraria, che potrebbe davvero metterlo in luce per l'ammissione alla North Western.

Carson che cerca di sponsorizzare il suo nuovo club
Il corpo studentesco non è tuttavia di supporto, anzi, osteggia caldamente questo nuovo progetto.
E' a questo punto che Carson comincia a ricattare i ragazzi più popolari della scuola come cheerleaders e giocatori di football per costringerli a scrivere sulla sua rivista.
Il tutto accompagnato da una madre che cerca di tirare avanti, con scarsi risultati, dopo l'abbandono del marito, il suddetto padre che decide di rifarsi una nuova vita, con annesso nuovo matrimonio e nuovo figlio in arrivo, e una nonna che era sempre stata punto di riferimento e supporto per Carson ora malata di alzheimer. 

E poi c'è la scrittura: la grande protagonista sempre presente. Presente nelle battute del protagonista, che sembrano uscite da un inno alla rivolta giovanile, piene di rabbia e frustrazione ma anche di speranza e voglia di cambiamento. Presente sotto forma di club, macchine da scrivere vintage, volantini, racconti strappati, appallottolati, scritti su tovaglioli, lanciati, sussurrati, nascosti, copiati e fatti propri. Racconti che comunque sono espressione di chi li ha scritti.
Qui c'è una delle più belle definizioni d'ispirazione che abbia mai sentito: l'ispirazione e come un fulmine, che ti colpisce quando meno te lo aspetti, pervade tutto il tuo corpo, potente, e cerca di farsi strada per uscire, per prendere vita propria.

Chris Colfer e Rebel Wilson
Un film divertente e commuovente, una storia reale che riesce a farsi spazio nella tua esperienza personale, per lo meno, per me è stato così: ho rivisto frammenti della mia vita sullo schermo ed è quello che più amo del cinema, ritrovarmi in esso.
Questo per me entrerà a fare parte di quei film che segnano gli step della mia vita, che ne accompagnano una parte, rendendola importante e memorabile. Quei film che quando li riguardi ritrovi il te stesso di un tempo e il te stesso futuro all'unisono.

Chris Colfer, non solo protagonista ma anche sceneggiatore e produttore, è semplicemente magnifico, appassionato, divertente, una vera potenza condita da quella tristezza che solo i giovani bramosi di un successo difficile da raggiungere portano negli occhi. Un'interpretazione che porta a chiedersi perchè non vediamo questo giovane e talentuoso attore più spesso sugli schermi.

Un cast superbo supporta questa storia con dinamismo divertente e intenso, senza toglierle il potente messaggio di fondo. E alla fine noi spettatori rimaniamo coinvolti, con una lacrimuccia che scende sul finale dolceamaro (ebbene si, alla fine ero li che tiravo su con il naso sperando che i professionalissimi critici con me in sala non se ne accorgessero).

E' un film sul riprendere le redini della propria vita, puntare in alto, sempre più in alto, e cercare di ottenere il massimo dalla propria esistenza. Personalmente comincio da subito... e voi?




EIFF2013: Magic Magic

Dunque... questo film mi ha lasciata un pò sconcertata, quindi ho dovuto rimurginarci un pò su prima di scrivere questa recensione.

La pellicola si apre con Alicia, ragazza californiana, che arriva in Cile per visitare la cugina, che vive e studia lì. Mentre sono in viaggio per la meta finale delle loro vacanze (una remota isola lontano da tutto e da tutti apparentemente nel mezzo del nulla) la cugina in questione deve fare ritorno all'università per dei problemi con un esame che deve sostenere.
A questo punto comincia l'incubo per Alicia, lasciata da sola con estranei che spesso non parlano neanche la sua lingua.
Da subito viene osteggiata dall'unica altra ragazza rimasta nel gruppo, Barbara, che si comporta come una stronza la tratta aspramente durante tutto il resto del viaggio e la permanenza sull'isola, mentre comincia ad essere oggetto delle attenzioni, totalmente indesiderate, dello strano anche se apparentemente innocuo Brink. L'unico rimasto è Agustìn, fidanzato della cugina, che sembra non avere particolare interesse nel mettere la nuova arrivata a suo agio.

Quando ho detto che per la protagonista (interpretata da Juno Temple) questa esperienza si rivela un incubo non era inteso in senso figurato. Alicia da subito comincia ad avere problemi a dormire e ben presto tutta la realtà intorno a lei, occupata da personaggi che lei sente come ostili, comincia a distorcersi e frammentarsi. Lo spettatore vede quello che è suo punto di vista, che ben presto comincia a non collimare con quello degli altri personaggi, tanto che veniamo portati a chiederci cosa sia reale e cosa no.
Juno Temple che comincia a dare segni di pazzia
Conversazioni telefoniche mai avvenute, animali che hanno il dono dell'ubiquità, esperienze mai fatte.
La mente di Alicia comincia lentamente a sgretolarsi. Inizialmente, e poi per tutto il film, viene data come scusa l'assenza di sonno, ponendo in una bella dormita la soluzione a tutti i mali della ragazza.
Eppure avvertiamo, e i personaggi con noi, che c'è qualcosa di più, in Alicia, una situazione pregressa che si scatena solo ora in tutta la sua pericolosa potenza.
Se a tutto questo aggiungiamo la passione di Agustìn per l'ipnosi e il tema della morte che aleggia fin dal principio ne viene fuori un quadro conturbante e disturbante di non sicura riuscita.

Questo film non mi ha convinto. Sembra vivere in un limbo fra generi senza appartenerne a nessuno in particolare e questo non fa che arrecare danno alla pellicola stessa. Ci sono le tinte horror ma non si cade mai nell'orrorifico per eccellenza, c'è il dramma ma non è un film drammatico, c'è la comicità che smette di far ridere quando ti accorgi che il quadro generale sprofonda in tinte fosche.
La magia del titolo è solo latente e vagamente accennata solo per poi intromettersi irruentemente alla fine del film ma anche qui non viene definita o inquadrata ma semplicemente agita - sta alo spettatore fare il resto, ma quando si parla di antichi riti sudamericani lo sforzo che si chiede al pubblico forse è troppo.
Cera abbandona i capelli biondi e le commedie divertenti
La pazzia di Alicia, poi, cresce esponenzialmente nel corso della pellicola senza mai essere davvero spiegata o almeno caratterizzata: è pazza? Era già pazza prima di arrivare sull'isola? C'è una presenza maligna in lei che si è risvegliata quando Agustìn l'ha ipnotizzata e che la spinge a comportarsi da pazza? Chi può saperlo...
A tutto questo aggiungo un uso totalmente non necessario del nudo: va bene che la Temple è una bella ragazza ma o rendi il suo togliersi i vestiti funzionale alla storia oppure ce lo risparmi.
Se a tutto questo aggiungi un finale aperto il risultato è uno sconcerto finale condito con una sgradevole sensazione di incompiutezza e precarietà.
Tutto cambia se questo era l'obiettivo del regista: in questo caso gran bel lavoro.

Salvo gli attori, che danno un'ottima interpretazione di personaggi per costruiti (questo lo concedo) purtroppo inseriti in un contesto che non li supporta. Juno Temple è fantastica nella parte della protagonista che sprofonda nella follia e Michael Cera, abbandonati i ruoli del tenero buffone, porta ilarità in questa pellicola che sembra però vista attraverso una lente fumosa.

A questo punto non so che cosa dirvi. Se non sapete che fare un pomeriggio andatelo a vedere quando uscirà e scrivetemi cosa ne pensate nei commenti: magari riuscite a farmi cambiare idea...

lunedì 24 giugno 2013

Juno (2007)

Fotografiamo un attimo la situazione: la mia socia fa la vip all'Edimburgh Film Festival con pass da blogger annesso, sforna un articolo più interessante dell'altro e vede un film più interessante dell'altro. Io boccheggio dall'afa romana e a stento arrivo a fine giornata senza liquefarmi. Di preparare la tesi non se ne parla, con questo caldo la mia mente evaporerebbe. Preserviamo i neuroni per...beh, per vedere film e pubblicare recensioni per il mio pubblico (?). Ciò detto, prendiamoci una pausa dalla "vita da festival" e ripieghiamo su qualcosa di più datato ma che non stanca, ideale per una mattina/pomeriggio/serata di relax radical chic alternativo: Juno.


Locandina italiana del dvd

La parabola di Juno, opera prima della sceneggiatrice Diablo Cody, sorprende poco gli scafati spettatori del XXI secolo: quella dell’adolescente incinta per sbaglio è una realtà molto più frequente e più nota di quanto moralmente dovrebbe essere. Cosa colpisce piacevolmente il pubblico però, è il modo in cui una materia tanto abusata viene spogliata da ogni suo stereotipo e reinterpretata da qui in un’ottica così diversa e singolare. In Juno quasi tutto è atipico, dalla personalità della protagonista  - e dei comprimari della vicenda - , al modo in cui i personaggi agiscono e reagiscono al problema. L’originalità dell’approccio è funzionale all’intenzione filmica di sceneggiatrice e regista (Jason Reitman, giovane, indipendente, controcorrente): Juno affronta tematiche delicate e complesse, dalla gravidanza precoce all’aborto all’adozione, ma le oltrepassa con grazia e leggerezza, e non si sporca le scarpe scadendo in eccessivi moralismi o inflazionati sentimentalismi. E allora largo all’ironia, al pizzico di cinismo, alla battuta pronta che alleggerisce anche le situazioni più drammatiche.

E’ la protagonista Juno MacGuff (Juno come la moglie di Giove, non come la città in Alaska), a plasmare lo stile di una vicenda che si conforma naturalmente alla sua personalità: lei è un’adolescente non tradizionale, atipica nel modo di vestire, nel modo di parlare e nei gusti musicali, possiede un senso dell’umorismo sottile e una maturità sicuramente superiore alla sua età. Il suo atteggiamento spavaldo e noncurante le fa apprendere senza grossi drammi la notizia della gravidanza, e senza altrettante tragedie la porta alla decisione di tenere il bambino (che peraltro non decide di tenere per qualche dilemma morale ma perché tormentata dall’affermazione di una compagna di classe, solitaria sostenitrice della campagna anti-aborto, secondo cui il feto anche di poche settimane è già provvisto di unghie delle mani).

 "Fingernails? Really?"


E tuttavia, il suo atteggiamento non è indice d’irresponsabilità: Juno accetta stoicamente le conseguenze della sua scelta, non si lamenta mai degli effetti collaterali “fisici” della sua situazione, ma nasconde dietro un muro caustico e graffiante una fragilità che a volte sfonda la parete e si rivela in tutta semplicità.
I comprimari della vicenda si adeguano al suo modo d’essere: così Paul Bleeker è l’amico-padre del bambino, il timido e disadattato compagno di laboratorio, innamorato teneramente di Juno ma senza nessuna voce in capitolo; così Leah è la migliore amica svampita ma leale, popolare cheerleader e segretamente innamorata di un professore; così Mr e Mrs MacGuff, padre e matrigna, sono i genitori che tutti vorremmo avere, quelli che supportano senza paternalismi e nel momento del bisogno sanno dare il consiglio giusto . E poi ci sono i Loring, la famiglia adottiva a cui Juno si rivolge, che nella loro ordinarietà (donna in carriera lei, uomo in crisi di mezz’età lui) sono la coppia meno funzionale della vicenda.

Ellen Page (Juno) e Michael Cera (Bleeker) travolti dal romanticismo


Dialoghi incalzanti, umorismo sottile, personaggi così diversi eppure così psicologicamente dettagliati. Mettiamoci anche una colonna sonora che è come la protagonista, leggera, genuina e delicata, e una notevole performance attoriale (plauso a Ellen Page e Michael Cera, un po’ più debole l’interpretazione di Jason Bateman) e otteniamo un prodotto del cinema indipendente di grande pregio e qualità. 


A voi il trailer e le dovute considerazioni:




domenica 23 giugno 2013

EIFF2013: Monsters University

Si ritorna alla vita da festival e si ritorna alla grande, con il nuovo film Disney Pixar Monster University.

Il film è un prequel di Monster&Co. che racconta come Mike e Sully si sono conosciuti, come hanno stretto amicizia dopo un inizio assolutamente negativo e come sono riusciti, alla fine, a lavorare per la Monsters&Co.

Come tutti i sequel/prequel questo film rischia di cadere in secondo piano rispetto al precedente, entrato a tutti gli effetti nella lista di Grandi Classici Disney e nel cuore degli spettatori.

Seppur non abbia la potenza delle grandi storie Disney, come Up o Wall.e, solo per citarne alcuni che personalmente continuano ad emozionarmi e commuovermi ad ogni visione, questo film mantiene lo scopo base di questi film: intrattenere cercando di lasciare qualcosa in chi guarda.
E questo qualcosa, nel caso specifico di Monsters University è una lezione dura, difficile da digerire ed estremamente reale, ovvero che certe volte la vita non ti porta dove tu avevi progettato, il tuo sogno più grande non si avvera e la grandezza è nell'andare avanti, nel trovare un nuovo sogno in cui impegnare tutte le proprie energie.

Il film è divertente, fa ridere di gusto, portando così ad un livello più interessante la tematica trita e ritrita dell'amicizia fra tipi diversi di mostri persone, accettando il diverso da sè e superando i pregiudizi, il tutto farcito dalla più classica delle esperienze del college, dove avere gli amici e i giri giusti sembra la cosa più importante e dove le confraternite si fanno una guerra spietata per essere le migliori del campus.
A quanto pare nemmeno i mostri sono immuni a queste convenzioni sociali...



Il film è stato proiettato in 3D, il che è stata una piacevole sorpresa del tutto inaspettata. Personalmente credo che non abbia fatto la differenza nella visione del film ma devo ammettere che alcune scene (anche del consueto corto pre film) valgono proprio quella dimensione in più: i magnifici colori del campus e le infrastrutture grandiose diventano sensazionali davanti agli occhialini degli spettatori.

La pellicola inoltre ci è stata presentata da uno degli animatori  del film, Scott Clark, che ho filmato e  spero di riuscire a caricare il video sulla nostra pagina facebook (oppure direttamente sul blog se riuscirò a far funzionare le mie scarse conoscenze di youtube).
Rimanete sintonizzati per sapere l'esito di questa avventura informatica...

Tornando al film... è un bel film per tutta la famiglia, in perfetto stile Disney. Lo consiglio caldamente.

Vi lascio con il trailer in originale.



giovedì 20 giugno 2013

EIFF2013: The Bling Ring

Appena tornata dall'ultima proiezione (per me) di oggi.
L'ultimo film di Sofia Coppola ha attirato un sacco di interesse e la sala era piena di giornalisti e appassionati.

Tratto da una storia vera e basato sull'articolo di Vanity Fair "The suspects wore luoboutins" il film racconta le vicende della banda denominata The Bling Ring, un gruppo di adolescenti che prendevano di mira le ville delle star (Paris Hilton, Orlando Bloom, Megan Fox, Lindsay Lohan per citare solo quelli che appaiono anche nel film) per fare incetta di abiti d'alta moda, soldi, gioielli.
Su facebook impazzavano le loro foto in club esclusivi con vestiti firmati e mazzette di soldi. Droga e alcool erano i compagni abituali di queste serate all'insegna di quella che per loro era diventata vita quotidiana.

Il film della Coppola non ci risparmia nulla: è crudo, divertente, vero, caotico, coinvolgente.
La musica impazza a tutto volume accompagnandoci nel vortice della vita di questi ragazzi, trascinandoci nei club a ballare con loro, facendo diventare schermo e sala un tutt'uno.

La banda Bling Ring al completo
Il film non procede in ordine cronologico ma è un lungo flashback che parte dall'arresto dei ragazzi. Via via che la storia procede al girato vengono intervallati spezzoni di red carpets e occasioni mondane, immagini che si avvicendano febbrili sullo schermo e che rappresentano l'aspirazione dei ragazzi, e dei telegiornali dell'epoca che riportano lo svilupparsi delle indagini.
Nei punti focali si vanno anche ad inserire gli interrogatori e le interviste (che si suppone essere quelle che daranno vita all'articolo di Vanity Fair) che i ragazzi hanno sostenuto durante e dopo il processo.
Ne consegue un film dinamico e brillante, ben orchestrato, che grazie alle parole degli stessi protagonisti riesce a spiegare sè stesso. Ed è anche un film divertente, davvero divertente, soprattutto grazie al personaggio di Emma Watson, Nicki, totalmente focalizzata sul raggiungimento della fama e della popolarità da cercare di trarre vantaggio anche dalle situazioni più drammatiche.

In questo film non c'è una morale, non vuole insegnarci nessuna lezione. E' uno spaccato della società odierna, di una generazione cresciuta davanti alla tv e alle riviste di moda, una generazione che guarda ai VIP come modelli a cui aspirare facendo diventare il mondo dello show business l'unico in cui vale la pena vivere.
Come dice Mark, uno dei ragazzi coinvolti, ciò che muoveva la leader del gruppo Rebecca era "essere parte del sistema".

Taissa Farmiga e Emma Watson
Nel cast spicca la splendida Emma Watson, che ormai della secchiona Hermione non ha più nulla, bella e spregiudicata in un'interpretazione azzeccatissima, ma c'è anche Taissa Farmiga, sorella minore della più conosciuta Vera (presente anche lei a questo festival con un film), che personalmente ho molto apprezzato nella prima stagione di American Horror Story e che qui dà un'altra buona prova di sè. Insomma un cast di giovani attori che ben si calano nei personaggi cui riescono a dare profondità e veridicità. Ci sono anche delle comparsate di Kristen Dunst e Paris Hilton.

Cercando un pò su internet questo film è stato accostato al precedente Spring Breakers ma non fatevi intortare: dove la pellicola con Selena Gomez fallisce miseramente (veridicità, interesse, interpretazione - salvo solo James Franco), Bling Ring vince su tutta la linea, non portando sullo schermo eccessi non necessari e riuscendo a catturare l'interesse con la qualità, della storia, dell'interpretazione e della realizzazione.

Un film davvero meritevole il prezzo del biglietto.

Bene, dopo questa recensione mi prendo un pò di pausa e vi aspetto per nuove pellicole domenica!




EIFF2013: We Are The Freaks

Il protagonista e narratore Jack (Jamie Blacklay) 

Nuovo film, nuova piacevole sorpresa. Sarà che questo film festival ha dei titoli davvero meritevoli ma finora tutti i film visti mi sono davvero piaciuti un sacco.

Birmingham, anni '90. Tre amici molto differenti fra loro e con differenti aspirazioni cercano un modo
per sfuggire alla banalità della vita di provincia: c'è il ragazzo povero che sogna di diventare scrittore e spera di andare all'università, c'è il timido  e tranquillo vessato dai genitori perchè riesca negli esami di ammissione, c'è il ricco e problematico che si ribella a tutto e tutti contro i genitori divorziati.
I loro destini si separano durante l'unica notte che viene raccontata dal film e tutti e tre ne usciranno cambiati: c'è chi finalmente riuscirà ad aprire una lettera universitaria tenuta in tasca per paura del contenuto, c'è chi riuscirà a far sentire la propria voce prendendosene le responsabilità, c'è chi dovrà fare i conti con l'autorità e rendere conto delle proprie azioni.
Ma questo non è uno di quei film con una morale e, a detta dello stesso protagonista, i personaggi non imparano nulla, se non forse a fare i conti con una vita che certe volte può ritorcersi contro.

Scene di ordinaria follia
Una storia quotidiana pura e cruda, dove se qualche eccesso è permesso, è sempre strettamente controllato. Sebbene la trama sia coinvolgente e intensa è il modo in cui è realizzato il film a renderlo genialità pura.
Il protagonista Jack parla direttamente in camera (e lui odia i film in cui i personaggi parlano direttamente in camera) e qualche personaggio se ne accorge pure, gli ambienti si distorcono e si dilatano, come gli interminabili corridoi che depersonalizzano il personaggio oppure attori che compaiono magicamente sulla scena, spaesati, non rendendosi conto neanche loro di quello che sta succedendo.
E pur nonostante queste scelte di rappresentazione il film rimane vero fino al midollo, raccontando il disagio di una generazione che forse non passa mai e che forse ancora oggi stiamo vivendo.

La colonna sonora è scoppiettante e azzeccata, coinvolgendo lo spettatore ancora di più nella trama.
Insomma un film divertente e ben pensato, che fa ridere di gusto con un cast di giovanissimi semi sconosciuti che non ha nulla da invidiare agli attori più quotati.

Vi lascio con il trailer originale.


EIFF2013: Breathe In

Il film d'apertura di questa edizione dell'Edinburgh International Film Festival è un film sulle relazioni che, a detta dello stesso Chris Fujiwara, è estremamente realistico, una storia che può succedere a chiunque pur mantenendo una straordinarietà tale da essere degna di racconto.

Keith è un insegnante di musica al liceo che la sua stessa figlia frequenta, vive nella tranquilla periferia di New York una tranquilla vita borghese. Ma Keith è anche un musicista appassionato che sogna di poter dedicarsi interamente a questo suo amore.
Le cose cominciano a cambiare con l'arrivo di Sophie, ragazza londinese, che partecipa ad uno scambio culturale per un semestre.
Inizialmente ben inserita e accolta a braccia aperte dalle donne di famiglia, a poco a poco Sophie, che si scopre essere un'eccellente pianista, lega sempre più profondamente con Keith, costruendo sempre più un rapporto esclusivo con risvolti che è ban facile immaginare.

Sebbene si parli, in fin dei conti, di tradimento e relazioni clandestine, questo film è lieve come una delle delicate sinfonie che accompagnano la storia in tutta la sua durata. La passione che lega Keith e Sophie non è fisica, ma intellettuale, passionale. Si amano con le parole e con gesti casti e dolci, con la stessa delicatezza con cui un musicista tratta il suo strumento.
Sono due disadattati nei mondi che dovrebbero invece appartenergli.
Keith è un violoncellista talentuoso che insegna solo per meglio inserirsi nell'ideale di famiglia che sua moglie ha pensato per loro, trascinato dalle vicissitudini della vita in un'esistenza che ormai non sente più propria, e si fa in lui sempre più forte il desiderio di abbracciare quella che è la sua più intima passione, la musica, a tempo pieno. Un desiderio che non è minimamente compreso dalla moglie e dalla figlia.
Sophie è una neo diciottenne che viaggia con Jane Eyre nella valigia, è taciturna e distante, non le interessano le sbronze o le feste e preferisce leggere quando altri si divertono in piscina. Non solo. Sophie è una pianista divina che ama talmente suonare da non voler piegare questa sua passione alle convenzioni che la costringono, decidendo di sedersi al piano solo perchè viole farlo e non perchè deve.

Felicity Jones (Sophie) e Guy Pearce (Keith) al piano
Esclusi dai mondi cui dovrebbero appartenere, Keith e Sophie si trovano e si spiegano l'uno nell'altra. Indicativo il momento in cui, per la prima volta nel film, tutta la famiglia assiste ad un concerto di Keith, su richiesta di Sophie. E' proprio a quel concerto che alla scintilla fra i due viene permesso di prendere vita.
Ed è sempre allo stesso concerto che il mondo esclusivo di Kaith e Sophie comincia a costruirsi attorno a loro: prima in disparte, non capiti dagli altri, ora sono loro al centro dell'attenzione, escludendo gli altri. E ovviamente questo non passa inosservato.

In Sophie c'è il concetto di libertà pura, quella libertà totale e assoluta, così intensa da spaventare. E questa libertà è presente in tutto il film, nelle scelte che i personaggi prendono o dovrebbero prendere, in quello che vogliono e agognano, in quello che lo spettatore si aspetta o spera per loro. E tutte queste voci e questi pensieri vanno a formare un quadro generale complicato come è complicata la vita, dove decidere di seguire una tale libertà comporta conseguenze anche gravose che il singolo, forse, non è pronto ad accollarsi.

Una colonna sonora intensa e coinvolgente, costituita principalmente da note classiche accompagna gli attori in questo film quotidiano e straordinario insieme.
Guy Pearce nel ruolo di Keith e Felicity Jones in quello di Sophie sono semplicemente splendidi. Lui incarna perfettamente l'uomo maturo con un cuore giovane ancora pronto a vivere i sogni lasciati nel cassetto per troppo tempo, lei detiene in sè una dolcezza passionale perfetta per Sophie, giovane donna che si affaccia ora alla vita, con un mondo davanti ad attenderla pieno di aspettative.

Il cast completo Makenzie Davies, Felicity Jones, Amy Ryan e Guy Pearce

Il film ti pacifica, dandoti quel senso di serenità piena che solo le grandi pellicole riescono a raggiungere lasciandoti, al tempo stesso, come fosse una melodia lontana nella tua mente, una vena malinconica che non disturba e anzi, quasi, ti fa vedere ciò che ti sta intorno con uno sguardo più profondo.

Poichè non è ancora disponibile un trailer chiudo questa recensione con la stessa canzone che chiude il film... Enjoy.





Quella volta che ho partecipato ad una serata d'apertura...

Bene, il racconto di come sono arrivata a partecipare alla serata d'apertura dell'Edinburgh International Film Festival, inizia molto lontano, e precisamente ieri mattina, quando mi sono svegliata prestissimo apposta per essere sicura di avere un posto assicurato per la sera stessa.

Dunque, dovete sapere (e in questo modo rispondo anche al nostro lettore Enrico, che era curioso al riguardo) che come accreditata stampa posso entrare gratis a tutte le proiezioni del festival: per quelle dedicate appositamente alla stampa, che sono solitamente la mattina, non devo neanche preoccuparmi di riservare un posto ma presentarmi direttamente al cinema e mostrare il pass, figata assurda!
La stessa cosa vale per quelle dedicate al pubblico, unica incombenza, quella di andare la mattina stessa, il prima possibile, a riservare un posto, ovviamente gratuito.

Il Festival Theatre di Edimburgo
E questo è quello che avevo in programma di fare ieri, così mi sono alzata presto, sono uscita in ritardo da casa (qui il tempo vola come un ossesso, non è colpa mia!) e dopo aver preso miracolosamente il pullman mi ritrovo davanti ad un Cineworld chiuso. Problema. Sono le 9 meno qualcosa e io inizio a lavorare alle 9.30.
Se non riesco a prendere un biglietto prima di quell'ora posso salutare la serata d'apertura.
Riesco ad intercettare con lo sguardo una delle ragazze dello staff, a gesti le dico che devo solo chiederle un'informazione e no non voglio entrare nel cinema chiuso. Lei è carinissima si informa per me e dice che devo andare ad un altro cinema di Edimburgo, la Film House, quella ufficiale del festival, per riservare il biglietto.
Dilemma: ce la farò ad arrivare in tempo al lavoro?
Il tempo per decidere è poco. Decido di tentare la sorte, prendo un altro pullman, in pochi minuti sono al cinema, mi fiondo dentro come un'ossessa e... riesco a riservare il biglietto!
E scopro che quel cinema è aperto dalle 8.30 di mattina e che quindi la prossima volta non devo fare tutte 'ste corse folli per un biglietto gratis...
E tranquilli al lavoro ci sono arrivata anche in anticipo, sudata marcia per la corsa, ma comunque in anticipo.

La giornata passa più o meno veloce (molto meno che più) ed è finalmente ora dell'atteso evento.
Ho anche comprato delle scarpe nuove per l'occasione...

La serata d'apertura è stata ospitata dal Festival Theatre, che come dice il nome è un teatro vero e proprio, appositamente "modificato" per l'occasione. Sicuramente una location suggestiva.

La bellissima sala del Festival Theatre
Maschere in uniforme ci controllano i biglietti e una voce ci avverte che fra 5 minuti lo spettacolo sta per iniziare.
Trovo il mio posto e attendo.
Le luci si abbassano e sul palco sale Chris Fujiwara, il direttore artistico del festival, che altri non è che uno dei due che chiacchieravano amabilmente davanti a me mentre ero in coda per ritirare l'accredito... Sì: sono stata in coda dietro il direttore artistico dell'Edinburgh International Film Festival.
Dopo averci dato il benvenuto a questa edizione del festival con humor e passione, ci presenta il film e poco dopo viene raggiunto sul palco dal regista Drake Doremus, l'attrice Felicity Jones e il compositore Dustin O'Halloran.
I tre, sorridenti, esprimono la loro gioia e il loro amore per la città che li ospita con carisma e simpatia e ci augurano una buona visione.

Io in tutto questo mi sto quasi sciogliendo dall'emozione e penso che ne è proprio valsa la pena di fare tutte quelle corse la mattina per essere partecipe di questo momento.

Quindi, vi lascio anch'io alla recensione di Breathe In, film d'apertura dell'Edinburgh International Film Festival.

martedì 18 giugno 2013

EIFF2013: What Maisie Knew

Un potente film sulla famiglia e sulle relazioni disfunzionali viste attraverso i grandi occhi marroni di una bambina.

Maisie ha 7 anni. Il film si apre con una situazione familiare già sull'orlo del baratro: la madre Susanna (Julianne Moore), una famosa rockstar, e il padre Beale (Steve Coogan), un compratore d'arte, sono nel bel mezzo di un violento divorzio e ovviamente di un'altrettanta violenta battaglia per la custodia.
Maisie, che osserva tutto silenziosamente, non vista, viene trasportata in questo mondo troppo adulto per lei, sballottata tra un'aula di tribunale e la nuova casa di papà, la scuola e casa di mamma.
Le cose peggiorano quando l'adorata tata Margo diventa la nuova moglie del padre, scatenando l'immediata reazione di Susanna, che sposa su due piedi Lincoln, un giovane barista che frequenta la sua band, convinta in questo modo di poter dare più stabilità alla figlia, almeno agli occhi del giudice.
La situazione non può essere più confusionaria e caotica.
Ma proprio l'ultimo arrivato in famiglia riesce a conquistarsi la simpatia e l'affetto della piccola Maisie, dandole finalmente quella stabilità sentimentale di cui la bambina aveva bisogno.
Proprio Lincoln infatti sembra l'unico ad avere totalmente a cuore la condizione della piccola, e quando tutti gli altri affetti della sua vita sembrano dileguarsi, lui rimarrà il suo punto fermo.
Anche Margo, dopo un iniziale allontanamento, dovuto ai problemi che non tardano a manifestarsi nella sua nuova relazione, tornerà a far parte della vita della piccola, andando a creare una sorta di nuova famiglia, felice ma così delicatamente in equilibrio precario che lo spettatore non può fare a meno di chiedersi quando l'idillio finirà.
Alexander Skarsgard e la piccola Onata Aprile

Come ho già detto, un film davvero potente e coinvolgente, che presenta una situazione familiare sì al limite ma sfortunatamente fin troppo reale.
Due genitori totalmente disfunzionali, completamente presi dai propri problemi personali da rimanerne travolti, finendo per dimenticarsi di tutto il resto, compresa un'adorabile bambina che guarda tutto quello che le sta succedendo attorno con grandi occhi tristi da cui traspare una maturità innaturale per la sua giovane età.
In molti assaggi del film è lei la vera adulta che deve perdonare il comportamento infantile dei suoi genitori.

Il film ci trasporta nella realtà delle famiglie allargate, ed è proprio da coloro che non sono i suoi consanguinei che Maisie riceverà l'amore e la stabilità di cui ha bisogno.
E tuttavia si può intravedere in questi due genitori assenti il profondo amore che nutrono per la loro bambina e questo dà a tutta la storia quella vena realistica che ne determina la bellezza: sono genitori che amano profondamente la loro bambina ma non sono capaci di trasformare questo sentimento in qualcosa di costruttivo.

In tutto questo turbinio di emozioni e avvenimenti, che trascina tutti i protagonisti con sè fino ad un punto di non ritorno, la piccola Maisie piange una sola, piccola, silenziosa lacrima.

L'intensità della piccola Maisie
Tutti gli attori coinvolti danno il meglio di sè: convincenti e intensi portano con la loro interpretazione questa pellicola ad un livello altissimo, rendendola uno dei migliori film di quest'anno.
Julianne Moore è perfetta nella parte della madre rockstar totalemnte discollegata dalla realtà, Steve Coogan è il padre divertente e pratico ma talmente preso dal lavoro da essere assente non solo per la figlia ma anche per le sue relazioni sentimentali, Joanna Vanderham e la dolce e attenta Margo, la tata che rimane invischiata suo malgrado in questa situazione fuori controllo mentre Alexander Skarsgard è l'attraente barista cui non daresti nessuna fiducia ma che si rivela capace di addossarsi anche responsabilità che non gli spettano.
E poi c'è lei, la piccola Onata Aprile, una giovanissima capace di dare intensità, spessore e carisma ad un personaggio che in fin dei conti è "solo" un osservatore. La sua interpretazione è spettacolare e merita da sola la visione del film.

Vi lascio con il trailer in lingua originale.




EIFF2013: The East

Bene. Direi che questo film festival è iniziato alla grande, per me.
Alle 8.30 di questa mattina ero già sulla via del cinema (Cineworld, che è proprio dietro casa mia, cooool!) per il mio primo film, The East.

Un'agenzia di sicurezza privata infiltra la giovane e ambiziosa Sarah nella cellula eco-terrorista The East, che ha nel mirino compagnie petrolifere e farmaceutiche, colpevoli di contaminare l'ambiente e la società. Il loro scopo è quello di riportare l'attenzione e gli effetti delle loro azioni direttamente sui diretti responsabili, i grandi manager e i dirigenti di tali aziende, interessati solo ai guadagni.

La protagonista Brit Marling
Sarah è addestrata e studia il caso da mesi ma non è assolutamente preparata ad affrontare quello che si trova davanti. Pian piano, infatti, viene sempre più coinvolta nella vita della comunità, cominciando a capirne a condividerne gli ideali, seppur continuando a non supportare i loro metodi.
Questa esperienza la porterà a mettere in discussione tutta la sua vita e le sue decisioni passate, portandola a chiedersi chi siano davvero i "buoni" e i "cattivi", sempre che una risposta chiara esista a questa domanda.

Sebbene non ci siano gli elementi caratterizzanti dei classici thriller adrenalinici, questo film tiene incollati alla poltrona per tutta la sua durata, trasportando lo spettatore nello stesso turbinio di emozioni e confusione che coinvolge la protagonista, portandolo a porsi le stesse domande che lei si pone e mettendo in questione la propria moralità.
La questione eco-terrorismo è sempre delicata: questo tipo di organizzazioni sono mosse da ideali senz'altro nobili ma sono disposti a tutto pur di far sentire la loro voce.
Il film mantiene efficacemente questa duplicità, portando lo spettatore esattamente nel mezzo di tale questione e spingendo fino al punto che l'ago della moralità sballa senza trovare un equilibrio: impossibile schierarsi, patteggiare per nessuna delle parti coinvolte, ma al tempo stesso si comprendono meglio i fili che muovono questo delicato sistema.

Ellen Page e Alexander Skarsgard
Un cast di attori eccezionali supporta magistralmente questa delicata trama morale: Ellen Page dà un'interpretazione da manuale, Patricia Clarkson è come sempre perfetta e Alexander Skarsgard, presente con ben due film a questo festival, dimostra definitivamente di non essere soltanto un vampiro sexy ma anche un attore superbo e intenso, leader terrorista capace di far vacillare anche la morale più forte.
La protagonista Brit Marling esprime perfettamente la duplicità del suo personaggio, la scissione che ad un certo punto avviene nella sua personalità, la difficoltà di continuare la propria vita a fronte dei nuovi eventi vissuti.

Insomma un film che consiglio caldamente, che porta a pensare e porsi quelle domande scomode ma necessarie.
 Sì, questo film festival è proprio iniziato alla grande.

Vi lascio con il trailer originale


lunedì 17 giugno 2013

Edinburgh International Film Festival 2013

Ancora non ci credo.
Pur avendo l'accredito fra le mani ancora non ci credo.
Ebbene sì, oggi sono andata a ritirare l'accredito stampa per assistere all'Edinburgh International Film Festival.
Mentre aspettavo in coda sentivo gente che si complimentava reciprocamente per gli articoli scritti, qualcuno diceva di aver apprezzato il film dell'altro, oppure di feste esclusive a cui si accedeva su invito... e a quanto pare qualcuno era stato dimenticato... auch!
In tutto questo io, che con gli occhioni spalancati (stile lepre che sta per essere investita da una macchina in corsa) cerco di carpire quanto più possibile di quello che mi sta succedendo intorno, sperando che gli altri non vedano in me la novellina che in realtà sono.

In ogni caso, essere ad un press desk, richiedere un pass a tuo nome e rispondere, quando ti chiedono il nome della testata, che sei una blogger non ha prezzo. 
Ma soprattutto vedere il nome del tuo piccolo blogghino, la tua creatura, nata neanche un anno fa, il pargolo che hai accudito (ma anche un pò trascurato, ammettiamolo...) per mesi, vedere quel nome scritto sotto il tuo con in alto la parola "blog", beh questo ragazzi fa mancare un battito al tuo cuore.

Ho avuto un sorriso ebete stampato in faccia per tutta la giornata e ne vado fiera.
Possiamo dire di essere bloggers, ora, e il nostro piccolo progetto è stato riconosciuto da un'organizzazione di tutto rispetto che ci ha dato questa grandissima opportunità.
Sì, il sorriso ebete ci sta tutto.

Dunque domani si parte secco con due film che sembrano davvero interessanti, spero di riuscire a star dietro al programma serratissimo e di tenervi sempre aggiornati: sarà dura ma ce la farò, dovessi anche vedere 5 film al giorno... (uuuhh che sacrificio!)

Per ora è tutto, guys, passo e chiudo!

Credo che ci dormirò anche con questo piccolino...




giovedì 13 giugno 2013

Big Fish (2003)

Storie di una vita incredibile

Locandina italiana
Il padre ama raccontare storie incredibili riguardanti la sua vita. Il figlio, ormai trentenne, non apprezza più. Il loro è il consueto conflitto generazionale che rende distanti, delusi, estranei. Il figlio non si riconosce in un padre che vive in un mondo di fantasia costruito a parole, il padre non si riconosce in un figlio così ancorato alla realtà di tutti i giorni. I due non si parlano da anni quando il figlio riceve la notizia: al padre resta poco tempo da vivere. Così, il figlio corre al capezzale del padre e il loro delicato rapporto viene prevedibilmente rimesso in discussione.

Niente di nuovo sotto il sole, si dirà. Ma Big Fish non è la solita storia di pentimento e redenzione: il risanamento del rapporto padre-figlio è il pretesto usato da Burton per dare libero sfogo alla più sfrenata fantasia, imbastendo un racconto atipico e plasmando un mondo, quello narrato, popolato da creature insolite e divertenti. Big Fish è il trionfo dell’immaginazione. E’ l’ordinario che legittima lo straordinario, o lo straordinario che guarisce l’ordinario. E’ una favola, anche nel senso più convenzionale del termine, perché si serve di tutti gli elementi canonici del genere alterandoli e de-normalizzandoli: c’è il padre-eroe (uno strafottente Ewan Mc Gregor da giovane, un appassionato Albert Finney da anziano), fiore all’occhiello della religiosa cittadina di Ashton, Alabama. L’eroe è belloccio, intelligente ed eccelle in tutto (che noia). La sua vita però non lo soddisfa: vuole fuggire da una realtà in cui è osannato ma che gli sta stretta, e questo desiderio di evasione coincide con le sue – poco eroiche – ambizioni (“I was intended for larger things”, Sono stato destinato a cose più grandi). Dopotutto, non si offre di salvare la città dal gigante per una qualche nobiltà d’animo, ma lo fa perché è l’unica maniera di scappare lontano.



L'eroe e il regista sul set


C’è la bella (la graziosa Alison Lohman del passato, la splendida Jessica Lange del presente), promessa sposa al rivale, che non è né docile né indifesa, ma intelligente ed indipendente. C’è il rivale appunto, l’amico d’infanzia invidioso e irascibile, il fidanzato della bella che però esce di scena in modo molto poco favolistico. E poi ci sono i mostri, che mostri in realtà non sono: un gigante, due gemelle siamesi, il bassissimo direttore di un circo itinerante (un inconfondibile Danny De Vito, il cui cameo è, insieme a quello di Steve Bushemi, uno dei più riusciti).



"Le rose sono rosse, le viole solo blu, io amo Spectre..."

Big Fish è dunque una favola rivisitata, un apologo della fantasia godibile anche se non esaltante, che tocca picchi di notevole creatività (il montaggio poco lineare come poco lineare è la storia; il finale a sorpresa, da occhi lucidi, che ripercorre l’intera vicenda; la sequenza del colpo di fulmine tra l’eroe e la bella), ma che allo stesso tempo indulge in artifici retorici che appesantiscono la narrazione (la musica eccessivamente celebrativa, anche nel finale; l’inconcludenza di alcuni dialoghi; l’uso a volte troppo insistito della voice over).
La matrice burtoniana è presente in senso lato: Big Fish è un’opera di fantasia sulla necessità di fantasia. Ma il vero Burton qui, quello delle atmosfere fosche e dai finali non sempre positivi, smussa la sua indole dark per ripiegare sul gentile e sul delicato. L’impresa riesce con relativi meriti (il film riscuote un notevole successo di pubblico), ma il cinema del regista perde il suo tratto distintivo per accostarsi ad un “criterio visivo” più maturo, ma sicuramente meno personale.


Vi lascio il trailer:




sabato 8 giugno 2013

Star Trek - Into Darkness (2013)

Credo che dovrei farmi qualche domanda sul mio livello di "geekitudine". Dato che volevo vedermi questo film (non posso perdermi nemmeno un'interpretazione del mio adorato Benedict) ovviamente mi sono vista il primo capitolo: con mio stesso stupore mi è piaciuto, e molto.
I giorni che hanno precedutola visione del secondo film sono stati costellati da gridolini tipici delle fan più scatenate alla vista anche di un piccolo fotogramma del trailer, un'eccitazione che è esplosa in sala (e che acuiva ogni volta che anche solo sentivo la profonda voce di Ben...).
Si, qualche domanda devo farmela...
Per ora glisso sapientemente sull'argomento e porto la vostra attenzione lontano da me, parlando del film (che era anche ora...).
Secondo la mia modesta opinione il lavoro di mister JJ con questo classico della fantascienza è superbo. Il materiale era molto, variegato e potenzialmente esplosivo, con milioni e milioni di fans in tutto il mondo, e non fans qualsiasi, ma persone che hanno amato Star Trek talmente profondamente da essere degli esperti nel settore, persone pronte a giudicare ogni passo di un regista contemporaneo che mette mano al loro tesssoro.
Insomma: un pubblico difficile con cui rapportarsi.
Oooooooh Benedict...
Ma non c'erano solo i sempreverdi affezionatissimi da convincere, bisognava anche catturare tutta quella parte di audience a cui di Star Trek non poteva fregare di meno, quelli che a malapena sapevano cos'era l'Enterprise.
E in qualche modo il buon Abrams ce l'ha fatta: ne sono venuti fuori due film spettacolari, capaci di tenere l'attenzione dello spettatore, coinvolgerlo nelle nuove avventure di personaggi vecchi decenni.
Questo secondo capitolo, poi, supera il primo: più battute, più divertimento e un cattivo con i controcosiddetti, ma soprattutto una trama che ti coinvolge, portandoti a sussultare ad ogni svolta della storia, sempre incerta e non convenzionale. Come in una spy-story cominci a sospettare di tutto e di tutti... mentre Simon Pegg con uno strepitoso accento scozzese dà il meglio di sè, facendoti ridere di gusto. Insomma un cast strepitoso per una storia coinvolgente.

L'equipaggio dell'Enterpise con JJ Abrams

Risultato? Un film godibile per tutti che consiglio calmante in lingua originale: è in originale che Cumberbatch dà il meglio di sè...


Vi lascio con il trailer e... attendo le vostre impressioni! Enjoy!