sabato 14 dicembre 2013

I Goonies (The Goonies) (1985)

Scivoliamo indietro nel tempo e atterriamo ad Astoria, remota cittadina della provincia americana situata da qualche parte nell’Oregon. E’ il 1985 e l’infanzia, senza computer né telefoni cellulari, è quella dei pomeriggi all’aria aperta con gli amici, dei giri in bicicletta, della sete di avventura. E perché no, anche dei racconti immaginari, magari un po’ confusi, partoriti dalla sfrenata fantasia di piccole menti piene di vita.
Il nostro “speciale di Natale” oggi vi propone I Goonies, l’avventuroso cult movie di Richard Donner, che vanta una blasonata sfilza di realizzatori (sceneggiatura di Chris Columbus, soggetto di Steven Spielberg), ma che si avvale per contro di attori poco noti o addirittura al debutto sul grande schermo.

Vero è che I Goonies non è un film prettamente natalizio. Niente alberi di Natale formato esercito abbelliti da un’allarmante quantità di luci lucine e lucette; niente neve, candida neve bianca che solo nei film non si sporca mai; niente jingle bells in loop, che ti rimane appiccicata in testa e non ti fa dormire; niente volemose bene. Ma sarà che ho il ricordo molto vivido di un 26 dicembre di parecchi anni fa, quando con il fratello e i cugini sedevo per terra a gambe incrociate e guardavo a bocca aperta lo schermo traballante della tv, e sullo schermo proiettavano I Goonies. Da allora, li ho sempre associati al Natale.

Locandina originale del film

I Goonies di Richard Donner sono un eterogeneo gruppo di ragazzini uguali e diversi che abitano il quartiere di Goon Docks. C’è Mickey Walsh il sognatore (per il quale avevo una cottarella non indifferente, sarà stato quel suo tenero principio d’asma), Chunk il goffo, Data l’inventore e Mouth lo spaccone. La loro amicizia, solida e pura come tutte le amicizie a quell’età, è però messa a repentaglio da un imminente trasloco collettivo a cui sono costrette tutte le famiglie di Goon Docks, le cui abitazioni rischiano di essere abbattute per lasciar posto a un campo da golf. La cricca di amici si appresta dunque a trascorrere insieme i momenti che restano, con tutta la malinconia del caso, ma il ritrovamento di alcuni cimeli di famiglia nella soffitta dei Walsh rende il loro ultimo giorno decisamente più emozionante. I quattro trovano una logora mappa del tesoro appartenuta al pirata One-Eyed Willy, e decidono (o meglio, decide Mickey e gli altri lo seguono più o meno riluttanti) di mettersi sulle sue tracce e lanciarsi alla sua ricerca.

Voglio un Chunk per Natale...
L’avventura dei Goonies  diventa da qui una caccia al tesoro à la Indiana Jones che si compone di passaggi segreti, prove di forza e di intelligenza, improbabili nemici dal marcato accento siciliano, vascelli pirata e anche qualche love story, che ci sta sempre bene.
Donner affresca con un sorriso l’infanzia genuina della provincia, chiassosa ma spontanea, esuberante ma ingenua, e orchestra dall’alto (della sua statura) un cast di piccoli attori che trasferisce nella propria performance tutta la naturale leggerezza insita nella loro età. Alla sceneggiatura affastellata ma incalzante, Donner affianca una colonna sonora trascinata dalla voce di Cindy Lauper, e fa largo uso di effetti speciali già notevolmente evoluti per quegli anni.

Qui trovate un piccolo assaggio della verve del gruppo:


I Goonies sono un’avventura che valica l’età anagrafica e che anche quando l’infanzia è passata da un pezzo, a gambe incrociate e bocca aperta, emoziona esattamente come quel Santo Stefano di tanti anni fa.


PS. Il dvd è distribuito in tutto il mondo dalla Warner Bros Picture, e oltre ad un menù interattivo dalla grafica parecchio accattivante, annovera una serie di contenuti speciali che valgono il suo prezzo di costo:
> Scene eliminate, per ridere ancora un po' con Chunk&soci.
> Il making of del film, in cui un giovanissimo Steven Spielberg introduce la vicenda e un meno giovane Richard Donner svela qualche segreto sulla sua realizzazione.
> Il commento al film, altrettanto interessante, per scoprire i segreti più segreti dei Goonies.
> Il classico trailer.
> Il video di Cindy Lauper montato per l'occasione, in cui Chunk&soci saltellano al ritmo di The Goonies are good enough.

mercoledì 11 dicembre 2013

Frozen (2013)

Sono appena tornata dal cinema. Sono innamorata. Ma forse non è neanche giusto dire innamorata. No, sono totalmente, inequivocabilmente, irreparabilmente cotta di questo film.

Ci sono due sorelle, due principesse. Sono molto legate e non possono vivere l'una senza l'altra. Un giorno però, quando sono ancora due bambine, Elsa, la maggiore, dotata di poteri magici (per non dire maledetta da poteri magici) ferisce la sorella Anna che rischia di morire congelata. Per salvarla si deve ricorrere ad un incantesimo che però cancella totalmente dalla memoria di Anna i poteri di Elsa. Quest'ultima si rinchiude in se stessa, cercando di controllare il suo gelido potere che sembra però impossessarsi sempre più di lei.
Quando Elsa viene incoronata regina, ciò che lei stessa più temeva si avvera: il suo segreto viene scoperto e prontamente si ritrova circondata da una folla inferocita e terrorizzata che la addita come un mostro.
Elsa si sente costretta a fuggire ma lascia dietro di sé il più gelido inverno che la sua gente abbia mai visto ed è Anna quella che si propone di correre dietro la sorella e sistemare le cose.
La meravigliosa Elsa 
La Disney propone un film che merita a pieno diritto di essere annoverato nei grandi classici. La storia è dolce e coinvolgente (stavo già piangendo dopo i primi 10 minuti...), la vicenda prende snodi inaspettati e ti fa sudare l'agognato lieto fine, con personaggi adorabili e deliziosamente simpatici e divertenti e un antagonista che non è necessariamente quello sotto gli occhi di tutti.
Ho visto questo film in 3D per puro caso (per la mancanza di uno spettacolo 2D all'orario che mi faceva comodo, non perché mi sono ritrovata tutto ad un tratto in una sala con immagini sfuocate...) e devo dire che il risultato dal punto di vista dell'animazione e del più puro aspetto visivo è spettacolare: fiocchi di neve che si muovono quasi con vita propria si impossessano dello schermo e colori così vividi e paesaggi mozzafiato ti trasportano direttamente dentro il film.

Anna e Hans, il suo vero amore... ma sarà poi vero??
Ma l'aspetto più importante, per quanto mi riguarda, di questo film è il fatto che per quasi due ore sono tornata bambina. Ho rivissuto quella magia che impregnava così solidamente la mia infanzia, una magia che proveniva per gran parte proprio dal classico Disney di turno. Mi ha fatto rivivere quella felicità ingenua e senza pretese che un po' tutti perdiamo strada facendo, facendomi guardare, con un moto di nostalgia ai giorni in cui vedevo questi film a Natale, con i miei genitori e tutto il parentame riunito, perché la videocassetta (ah le buone vecchie VHS...) era stato il dono di quel natale.
Insomma un viaggio sul treno dei ricordi che ti fa sorridere mentre ti stringe in una morsa il cuore.

Christoff e Sven alla riscossa
Non mi pare ci sia bisogno di dire che consiglio tantissimo questo film, a tutti, grandi e piccini, perché la Disney in fondo è così, capace di riunire tutti intorno ad una favola.

Vi lascio con il trailer... Enjoy!




lunedì 9 dicembre 2013

31TFF: Grand Piano

Il film di chiusura di quest'anno tinge il TFF di giallo. Un thriller mozzafiato firmato dallo spagnolo Eugenio Mira, regista al suo terzo lungometraggio che non stenterà a farsi conoscere.

Tom è un pianista sensazionale, probabilmente il migliore della sua generazione, ma dopo una performance totalmente fallimentare (un epic fail commenterebbe il popolo gggiovane della rete) ha abbandonato le scene. Ora, a cinque anni dal suo ritiro, la moglie, una celebre star del cinema, organizza il suo ritorno per commemorare Patrick Godureaux, mentore di Tom, morto l'anno prima.
Per l'occasione, il magnifico pianoforte prediletto di Patrick, viene portato per una sera e una sera soltanto sul palcoscenico.

Dire che Tom è riluttante all'evento è un leggero eufemismo. L'ansia da palcoscenico e la paura del fallimento lo attanagliano ma ben presto si renderà conto che è ben altro ciò di cui dovrebbe realmente preoccuparsi.
Appena si siede al fantomatico pianoforte, Tom si rende infatti conto che i suoi spartiti sono stati manomessi e un cecchino senza volto lo spinge ad eseguire la migliore performance della sua vita minacciando lui stesso e la moglie. Non solo, il tiratore vuole anche che Tom si confronti di nuovo con La Cinquette, il brano impossibile che lo aveva già visto fallire cinque anni prima. E questa volta Tom lo deve eseguire perfettamente, senza sbagliare una nota: ne va della sua sopravvivenza.


Tom si prepara ad affrontare il suo incubo
Mira mette in scena un crime movie che ha l’armonia di una sonata di Bethoveen,  Riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo usando praticamente la sola location del teatro eppure mai film è stato più movimentato. Riesce a tenere con il fiato sospeso senza eccessivi colpi di scena, senza rocamboleschi effetti speciali ma semplicemente con una minacciosa voce nell'orecchio di un pianista che suona davanti ad un teatro gremito mentre cerca di salvare la sua vita.
A tutto questo si aggiunge una capacità visiva davvero degna di nota, con una cinepresa che si muove a 360 gradi per cogliere l'impossibile e donando riprese vivide e inusuali che accentuano ancora di più l'essere fuori dagli schemi di questo film.


Elijah Wood in una scena del film (a quanto pare molto preoccupante...)


Elijah Wood, presente per due anni consecutivi al TFF con ruoli da protagonista, dona a Tom quella profondità che il complesso personaggio del pianista geniale ma introverso richiede: possiamo leggere nei suoi grandi occhi di ghiaccio dapprima il terrore senza speranza per il ritorno sulle scene (ineluttabilità), e via via la paura per la sua vita e la determinazione per la sopravvivenza. Wood ha creduto talmente in questo ruolo da essersi allenato per mesi al pianoforte per suonare i pezzi richiesti dalla storia.
La dolce moglie del protagonista è Kerry Bishè, nota ai più per il suo ruolo nella maledetta serie conclusiva di Scrubs (era la “nuova JD” ma non dimentichiamoci della sua partecipazione all’acclamatissimo Argo… direi che questo riequilibra le cose…). Qui interpreta una notissima star del cinema da cui emerge il profondo amore per il marito e le sue passioni.
John Cusack è invece la voce dell'assassino, di cui non vedremo quasi mai il volto (e forse è meglio così perchè quando appare finalmente sulla scena rivela tutta la sua spietata crudeltà).

Insomma questo mi è piaciuto, ha consolidato il nostro appuntamento annuale con quei bellissimi occhi blu del mitico Frodo Elijah Wood e l’ho trovato un'ottima conclusione per un festival che, per il breve periodo cui vi ho partecipato, mi ha regalato bellissime visioni, tanto da potermi dire pienamente soddisfatta.

Lo consiglio caldamente a tutti.

Vi lascio con il trailer in lingua originale... Enjoy!


mercoledì 4 dicembre 2013

31TFF - All Is Lost

Altro giro, altra corsa, altra folla. Questa volta era quella ancora più interminabile per All is lost, la più recente fatica di mister J.C. Chandor. Premessa n° 1: a me, mister Chandor, garba non poco. Il suo debutto sul grande schermo fu nel 2011 con il sottovalutato Margin Call, un appassionante thriller sulla crisi economica americana, la cui sottoscritta ha non solo apprezzato, nonostante la presenza del Danny di Gossip Girl (WTF?) tra il cast, ma addirittura capito. Ci tenevo particolarmente quindi a vedere questo film, seconda produzione di un giovane regista ingiustamente trascurato. Premessa n° 2: la disposizione d’animo con cui sono entrata in sala probabilmente ha penalizzato la prima parte della visione, che ci ha messo un po’ a convincermi. Ma chi può darmi torto? Mi metto in fila con tre quarti d’ora d’anticipo, sono in pole position, occhi negli occhi col tamarro che strappa i biglietti, già pregusto la poltrona più centrale della sala e…mio fratello, accompagnatore d’occasione nonché possessore dei biglietti, arriva in vergognoso ritardo dopo aver cercato posteggio per mezz’ora, perché sia mai di spendere soldi e lasciare l’auto nel parcheggio sotterraneo. Bene. Ciao poltrona super centrale e ciao primo posto in coda, benvenuto unico spazio libero alla sinistra più sinistra della sala. Si può affrontare in questo modo la visione di All is lost? No, infatti. 

Ecco, forse è meglio spendere due parole su che cos’è esattamente All is lost.

All is lost (a cui i pubblicitari italiani hanno aggiunto l’astuto sottotitolo Tutto è perduto), è sostanzialmente una sfida: è una sfida per Chandor, che nonostante l’embrionale esperienza si lancia in una delle prove più difficili nella carriera di un regista; è una sfida per Redford, l’our man che da solo tiene le redini di una vicenda che grava esclusivamente sulla sua fisicità; è una sfida per lo spettatore, che per quasi due ore assiste impotente alle tragiche vicissitudini del protagonista.  
Esatto, All is lost è un one man show. E lo show è quello emozionante di Robert Redford, taciturno padre di famiglia che da solo s’imbarca per gli oceani e che proprio tra quelle acque rischia di morire.
Chandor non spende né tempo né parole in presentazioni, e introduce il personaggio direttamente sulla barca, direttamente in mezzo al mare. Redford sta navigando indisturbato tra le acque dell’Oceano Indiano, quando un container alla deriva urta la sua imbarcazione e apre uno squarcio nello scafo. Il problema, prontamente risolto dalla sua esperienza e abilità, è però solo il primo di una serie di tragici incidenti che riducono gradualmente le sue possibilità di sopravvivenza, in un magistrale climax di tensione che serpeggia palpabile tra il pubblico in sala. Redford non parla, non parla mai, si lascia scappare una sola esclamazione disperata quando la tensione è ormai quasi insopportabile, e con tenacia, caparbietà e imperturbabilità affronta la sua personalissima lotta contro la natura. 


Sta arrivando una tempesta...

Ecco, è proprio l’imperturbabilità del personaggio l’elemento che mi ha sorpreso e poi convinto: mi aspettavo un Redford più “espressivo”, che non potendo comunicare attraverso la voce rivelasse le proprie emozioni attraverso il viso, e questa sua impassibilità, così paradossale visto il pericolo che andava affrontando, non mi sembrava credibile né verosimile. Ma più la vicenda procedeva, più la sua situazione diventava disperata e l’angoscia attraversava la sala, ho visto in quell’imperturbabilità uno dei punti di forza del suo personaggio e del film stesso: Redford è un solitario, salpa per l’oceano senza compagnia e non parla, non esprime emozioni attraverso la voce e linearmente con il suo personaggio non lo fa neanche per mezzo del volto. L’intera pellicola si piega allora alla sua personalità: l’accompagnamento sonoro è centellinato e destinato solo ai momenti più cruciali, le inquadrature sono asciutte e la fotografia curata ma realistica.
Difficile tenere alto un ritmo scandito dagli eventi più che dai dialoghi o dalle musiche, ma alla fine del film le luci si riaccendono e il pubblico ci mette un po’ a tornare alla realtà. 
Chandor vince la sfida.

A voi il trailer, ma non fatevi ingannare: quelle che sentite sono le uniche battute del film.


martedì 3 dicembre 2013

31TFF: The Grand Seduction

Quel che si dice “breve ma intenso”: il nostro Torino Film Festival quest’anno si è condensato nell’arco di un weekend causa impegni lavorativi all over the world, che non solo non ci hanno permesso di presenziare a tutte le proiezioni tutti i giorni a tutte le ore, ma che ci hanno anche impedito di ottenere accrediti e simili. L’accredito. L’accredito è quella targhetta che dice quanto so figo quanto so vip, destinata ad una cerchia elitaria di personaggi del settore, che ti fa scavalcare code interminabili e ti dà accesso diretto a qualsiasi tipo di evento legato al festival. Ecco. Senza targhetta del potere e prive di qualsiasi altro tipo di pass (le nostre conoscenze gggiuste quest’anno si sono date alla macchia), non potevamo far altro che selezionare un numero di film dignitoso e con umiltà d’animo mescolarci alle folle in attesa.
La mia prima folla era quella per The Grand Seduction, produzione canadese diretta da tale Don McKellar (regista-attore-produttore-scrittore) e presentata nella sezione Festa Mobile.

The Grand Seduction  approda al Torino Film Festival senza nutrire eccessive pretese.
McKellar abbandona infatti qualsiasi virtuosismo stilistico e narrativo, e tratteggia una vicenda fluida e lineare che combina dignità, riscatto e buoni sentimenti, aggiungendo all’insieme una sottile vena comica che rende la visione estremamente piacevole. Il suo è un prodotto gradevole e garbato che arriva in sala con incoraggiante leggerezza e che va gustato nella sua più totale semplicità, come un vero e proprio piacere per gli occhi. E no, quando dico “piacere per gli occhi” non mi riferisco al belloccio della situazione, il Taylor Kitsch co-protagonista di turno. Anzi, ad essere sinceri l’unico appunto che mi sento di muovere a McKellar è proprio la scelta di Taylor Kitsch, espressivo quanto un cucchiaino da caffè. 

Voleva essere pensoso...
Per “piacere per gli occhi” intendo piuttosto i paesaggi sconfinati che sono lo sfondo della vicenda, il riflesso diamantino del sole a picco sul mare, i colori così pieni e così puri propri solo della natura incontaminata.

McKellar ambienta infatti la narrazione nel suo Canada, in quella Tickle Head che prima era un fiorente villaggio di pescatori e che la crisi ha ridotto a nucleo abitativo dimenticato dal mondo e senza alcuna prospettiva. Non c’è lavoro, non ci sono soldi, non c’è futuro né speranza. Non c’è nemmeno un dottore. A riscuotere la cittadina dal torpore arriva però l’interessante proposta di una compagnia petrolifera, che vede in Tickle Head l’ubicazione ideale per una fabbrica di smaltimento rifiuti; ma una clausola del contratto, senza la quale non c'è accordo, prevede la presenza fissa di un medico in loco
Una serie di fortuite circostanze ce lo porta davvero un dottore a Tickle Head (il Taylor Kitsch di cui sopra), ma per ottenere la costruzione della fabbrica, come da contratto, quel dottore a Tickle Head ci deve anche rimanere. Tutto il villaggio si mobilita allora in un’esilarante messinscena, e sotto le direttive del burbero Murray (Brendan Gleeson) e del suo braccio destro Simon (un Gordon Pinset che è il vero motore comico della narrazione), l’intera cittadinanza si adopera nel convincere il dottore che proprio Tickle Head è il luogo migliore in cui vivere, e ritrova nel progetto una coesione e un entusiasmo da tempo scomparsi.

Murray? Non sono a mio agio con le cose a tre...
Ciò detto, non entrate in sala carichi di elevate aspettative per The Grand Seduction. Quella di McKellar è infatti una commedia corale popolata da un carosello di personaggi macchiettistici e bizzarri, trainati da un Brendan Gleeson che spicca per fisicità ed esperienza, che  trasuda buoni sentimenti senza però essere sentimentale, e la cui visione va affrontata esattamente per quello che vuole trasmettere: con leggerezza e sorriso.