martedì 3 dicembre 2013

31TFF: The Grand Seduction

Quel che si dice “breve ma intenso”: il nostro Torino Film Festival quest’anno si è condensato nell’arco di un weekend causa impegni lavorativi all over the world, che non solo non ci hanno permesso di presenziare a tutte le proiezioni tutti i giorni a tutte le ore, ma che ci hanno anche impedito di ottenere accrediti e simili. L’accredito. L’accredito è quella targhetta che dice quanto so figo quanto so vip, destinata ad una cerchia elitaria di personaggi del settore, che ti fa scavalcare code interminabili e ti dà accesso diretto a qualsiasi tipo di evento legato al festival. Ecco. Senza targhetta del potere e prive di qualsiasi altro tipo di pass (le nostre conoscenze gggiuste quest’anno si sono date alla macchia), non potevamo far altro che selezionare un numero di film dignitoso e con umiltà d’animo mescolarci alle folle in attesa.
La mia prima folla era quella per The Grand Seduction, produzione canadese diretta da tale Don McKellar (regista-attore-produttore-scrittore) e presentata nella sezione Festa Mobile.

The Grand Seduction  approda al Torino Film Festival senza nutrire eccessive pretese.
McKellar abbandona infatti qualsiasi virtuosismo stilistico e narrativo, e tratteggia una vicenda fluida e lineare che combina dignità, riscatto e buoni sentimenti, aggiungendo all’insieme una sottile vena comica che rende la visione estremamente piacevole. Il suo è un prodotto gradevole e garbato che arriva in sala con incoraggiante leggerezza e che va gustato nella sua più totale semplicità, come un vero e proprio piacere per gli occhi. E no, quando dico “piacere per gli occhi” non mi riferisco al belloccio della situazione, il Taylor Kitsch co-protagonista di turno. Anzi, ad essere sinceri l’unico appunto che mi sento di muovere a McKellar è proprio la scelta di Taylor Kitsch, espressivo quanto un cucchiaino da caffè. 

Voleva essere pensoso...
Per “piacere per gli occhi” intendo piuttosto i paesaggi sconfinati che sono lo sfondo della vicenda, il riflesso diamantino del sole a picco sul mare, i colori così pieni e così puri propri solo della natura incontaminata.

McKellar ambienta infatti la narrazione nel suo Canada, in quella Tickle Head che prima era un fiorente villaggio di pescatori e che la crisi ha ridotto a nucleo abitativo dimenticato dal mondo e senza alcuna prospettiva. Non c’è lavoro, non ci sono soldi, non c’è futuro né speranza. Non c’è nemmeno un dottore. A riscuotere la cittadina dal torpore arriva però l’interessante proposta di una compagnia petrolifera, che vede in Tickle Head l’ubicazione ideale per una fabbrica di smaltimento rifiuti; ma una clausola del contratto, senza la quale non c'è accordo, prevede la presenza fissa di un medico in loco
Una serie di fortuite circostanze ce lo porta davvero un dottore a Tickle Head (il Taylor Kitsch di cui sopra), ma per ottenere la costruzione della fabbrica, come da contratto, quel dottore a Tickle Head ci deve anche rimanere. Tutto il villaggio si mobilita allora in un’esilarante messinscena, e sotto le direttive del burbero Murray (Brendan Gleeson) e del suo braccio destro Simon (un Gordon Pinset che è il vero motore comico della narrazione), l’intera cittadinanza si adopera nel convincere il dottore che proprio Tickle Head è il luogo migliore in cui vivere, e ritrova nel progetto una coesione e un entusiasmo da tempo scomparsi.

Murray? Non sono a mio agio con le cose a tre...
Ciò detto, non entrate in sala carichi di elevate aspettative per The Grand Seduction. Quella di McKellar è infatti una commedia corale popolata da un carosello di personaggi macchiettistici e bizzarri, trainati da un Brendan Gleeson che spicca per fisicità ed esperienza, che  trasuda buoni sentimenti senza però essere sentimentale, e la cui visione va affrontata esattamente per quello che vuole trasmettere: con leggerezza e sorriso.


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